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San Luca, Scampia, Boateng: 3 episodi per pensare

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Primo episodio
Alcuni mesi fa è stato mandato in onda, ad orari ragionevoli, un servizio la cui protagonista era una preside di San Luca – un comune vicino Locri – che non si arrende alla logica mafiosa che ruba il futuro ai ragazzi della “sua” scuola.
La locride è una terra interessante. Ho avuto modo di conoscerla da vicino e ne sono onorato. Molti, moltissimi abitanti di quella terra, giovani, ragazzi, amici sono motivati da un intenso senso civico, capaci di mobilitare istituzioni e raccogliere numeri importanti attorno all’idea di un valore.
Eppure il tentativo di quella preside s’è spento nel nulla. E’ stato risucchiato e fatto a pezzi dalla macchina mediatica. A livello nazionale è rimasto poco o nulla di un’esperienza che, invece, avrebbe meritato sostegno ed incoraggiamento da parte dello Stato. Non si hanno avuto più informazioni al cospetto della professoressa che, con estremo coraggio, prova a dare un avvenire a bambini destinati ad ereditare la cultura del malaffare e dell’illegalità.

Secondo episodio
Dall’aprile 2011 a Scampia e Secondigliano è scoppiata una nuova guerra di camorra. Di questa guerra lascia perplesso il fatto che, oltre agli oltre venti morti che si sono potuti finora contare tra le fila dei clan in lotta per il potere, da circa un mese questa guerra non lascia in pace neppure i bambini.
Il 6 dicembre viene giustiziato un uomo all’interno di una scuola materna e solo alcuni giorni dopo esplodono due bombe a Scampia che feriscono dei ragazzini. Per conoscere tali episodi è necessario consultare siti e volere necessariamente coltivare un senso civico; i Tg nazionali si interessano poco di Scampia. Se ne parla poco se non per raccontare di un boss arrestato che presto verrà rimpiazzato da qualcun altro che proseguirà la stessa battaglia.

Terzo episodio
3 Gennaio 2013. Partita di calcio amichevole a Busto Arsizio tra la squadra locale ed il Milan: è l’occasione per fare festa ai campioni rossoneri ed infatti, all’evento, prendono parte molte famiglie con bambini. Peccato che alcuni individui impieghino soltanto ventisei minuti a rovinare tutto intonando cori razzisti al cospetto di alcuni giocatori del Milan. Uno di questi, Boateng, si spazientisce e scaglia il pallone in direzione dei tifosi e poi decide di lasciare il campo. Pochi istanti e i suoi compagni lo seguono; la partita viene interrotta e si coglie, giustamente, l’occasione per lanciare un messaggio di valore: il calcio non può più accettare il razzismo!
La notizia della presa di posizione del Milan fa in fretta il giro del mondo; suscita dibattiti, se ne parla su Twitter, si abbozzano posizioni istituzionali, si promettono cambiamenti.
“Strano” – mi son detto – “in fondo è lo stesso sistema calcio che tollera e incoraggia un vomitevole gossip diseducativo, che non ripudia, allo stesso modo, atteggiamenti altrettanto barbari (come quelli messi in atto dai facinorosi varesotti) compiuti e perpetrati dagli stessi campioni o da loro stretti colleghi, che, però, in questa occasione si sono scandalizzati e hanno rifiutato ciò che –davvero- non si può più accettare.
A parte il fatto che sono convinto che, scendere in campo con facce dipinte di nero oppure sfoggiare eleganti magliette che inneggiano a tolleranza e integrazione, siano provvedimenti superficiali e di corto respiro se il cambiamento non parte dalla coscienza reale e sincera di ognuno, ciò che mi ha colpito di questa “infelice” notizia è stato la conseguenza mediatica che l’ha accompagnata. Eccessiva, esagerata, a tratti pacchiana. A meno che essa non condensasse in sé retrogusti politici e interessi di parte che, con il calcio e coi valori sani, nulla hanno a che vedere.

Mi fa riflettere la diversità di peso che i media hanno fornito alle tre notizie. Senza nulla togliere all’impeto civico di Boateng, mi sembra che porti più giovamento al paese fare conoscere ciò che sta accadendo di bello e di brutto in territori di frontiera che appartengono ad ognuno di noi!
Parlare di Scampia o di San Luca fa male, non affascina quanto quel pallone scagliato in tribuna dal campione milanista, non aiuta a raccogliere consensi ma costruisce futuro, senso civico, speranza. Soprattutto infonde desiderio di impegno.
Parlare dei reali problemi del paese ne sostiene il colpo di reni; aiutando la massa a dissociarsi dalla sotto cultura del gossip e delle copertine patinate e vuote di rotocalchi antieducativi, significa aiutare il paese ad avere possibilità di futuro e, allo stesso tempo, ci mette in guardia impedendoci di riporre fiducia in politici “riciclati” e fondatori dell’ennesima lista della salvezza; parlare di disabili, di rom, di aziende che chiudono, di famiglie che “non ce la fanno” significa abituare a pensare; significa aiutarci a capire che la verità va cercata “più dentro”, un po’ al di là della presentazione o dell’effetto luccicante dei talk show che abbagliano, seducono e abbandonano.
Parlare di mafie, dei rom, dei disabili ci fa comprendere meglio che il mondo che emerge ed ammaglia, quello che ci mostrano in prima serata è solo una porzione insignificante e non rappresentativa del vero e del reale. Raccontare di verità scomode come ad esempio che mafia, h’ndrangheta e camorra sono presenti, con sfumature diverse ma uguale potenza, in Lombardia e Piemonte almeno quanto in Calabria, Sicilia e Campania ci aiuta a capire che la stagione in cui è necessario credere alle favole termina molto presto.
Avere il coraggio di non credere ai proclami patetici di calciatori che vanno in carcere a parlare di speranza, valori e futuro per poi scappare in fretta a bordo di automobili luccicanti e costose o avere la forza di respingere al mittente le emozioni che derivano da questo mondo finto, infingardo e falso e invece occuparsi di problemi scomodi e sporchi di cui nessuno parla, significa non essersi arresi ad una delle notti più buie del nostro paese e non avere riposto, per sempre, il desiderio e la speranza di un futuro migliore.

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